UNA LEGGE SERVE MA GIUSTA


Un reparto di terapia intensiva.
In seguito ad avvenimenti che hanno interessato l'opinione pubblica, come il caso di Eluana Englaro, ultimamente si parla spesso di "Testamento biologico", ma pochi sanno realmente che cosa sia.
Il pericolo è che esso diventi nell'opinione pubblica e non solo "il cavallo di troia" per l'eutanasia. Per evitare questo rischio vorrei contribuire con un articolo di Famiglia cristana a mio avviso molto chiarificatore, perché definisce alcuni punti chiave per un Testamento biologico eticamente giusto.
Le dichiarazioni anticipate sono di due tipi: uno prelude al suicidio assistito, l'altro lo esclude a priori, insieme all'accanimento terapeutico. Bisogna decidere per la vita.
Con le dichiarazioni anticipate (denominate comunemente testamento biologico, o carta di autodeterminazione), la persona dichiara quali cure mediche ricevere e quali rifiutare nel caso che non sia in grado di esprimersi in seguito a una malattia invalidante o a un grave incidente. Sono generalmente motivate dal timore verso una prassi medica che rischia di passare dalla terapia all’accanimento terapeutico; ma anche da un’accresciuta autonomia del soggetto che rivendica il diritto di decidere sulla terapia da intraprendere o rifiutare. Per questo si preoccupa di esprimere in anticipo la propria volontà in previsione di un’infausta condizione che impedirà di manifestarla
In Italia, a differenza di altri Paesi europei, le dichiarazioni anticipate non hanno valore legale. Ma il problema, da alcuni anni, è molto dibattuto. Se ne è occupato il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) con il testo Dichiarazioni anticipate di trattamento del 2004. A livello politico, sono stati presentati diversi disegni di legge (una decina), unificati in un testo unico che non è arrivato in Parlamento a causa dell’interruzione della precedente legislatura.

Domanda di suicidio assistito

Attualmente, alcuni – non molti in realtà – fanno testamento biologico, sia pure privo di valore legale, secondo formulari che sono riconducibili a due tipi o modelli. Il primo è composto da un formulario dove si domanda al medico che, in condizioni invalidanti e irreversibili, sospenda ogni cura o terapia. In questa direzione si muovono diverse associazioni che invitano a sottoscrivere una serie di dichiarazioni da convalidare presso un notaio. Tra queste, «nel caso di malattia o lesione cerebrale irreversibile e invalidante», si chiede al medico «di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico, né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali nel caso sia impossibile alimentarsi autonomamente». È facile riconoscere che una richiesta del genere equivale a una domanda di eutanasia (suicidio assistito).



Terri Schiavo con la madre


Il secondo tipo è radicalmente diverso. Con questo, la persona anticipa disposizioni di grande valore, quali il rifiuto di cure mediche sproporzionate, eccessive, inutili al paziente; il rifiuto dell’eutanasia attiva e omissiva; il ricorso alle cure palliative; il desiderio di avere la presenza dei familiari, l’assistenza religiosa, se credente, e altro ancora. Inoltre, offre al medico un adeguato orientamento, lo aiuta – senza sostituirsi o imporsi a lui – nella decisione da prendere; libera i familiari da un infondato senso di colpa di cui potrebbero affliggersi per non avere fatto quanto era tecnicamente possibile fare. Questo tipo di testamento integra con sapienza il valore della vita e la dignità del morire umano.

Nutrire non vuol dire curare


In breve, c’è una forma di testamento biologico che apre all’eutanasia sia pure in forma mascherata, e un’altra, invece, che rifiuta chiaramente sia l’eutanasia sia l’accanimento terapeutico, come due modi che disumanizzano il morire umano. Il criterio che discrimina nettamente il primo dal secondo tipo di testamento biologico è la distinzione reale tra cure proporzionate, da un lato, e cure sproporzionate dall’altro.


Piergiorgio Welby



Il pensiero cattolico, unitamente a un largo e condiviso pensiero giuridico e medico, con solida argomentazione sostiene che l’alimentazione e l’idratazione artificiali non richiedono l’impiego di sofisticati sistemi tecnologici e, dunque, non costituiscono mezzi straordinari, ma del tutto ordinari; sono a portata di mano anche di strutture ospedaliere povere, praticabili anche a livello familiare. Sono quindi – in linea di principio – obbligatori; sospenderli equivale a procurare la morte.
Anzi, sostiene che «il nutrire si differenzia dal curare», e rientra così nei mezzi di sostegno vitale, quindi questi non sono propriamente atti medici, ma sostegni vitali, tanto che ometterli significa procurare la morte.
Casi estremi ripropongono l’esigenza di una legge sul testamento biologico. Si pensi al caso Terri Schiavo (2005), a quello di Piergiorgio Welby (2006), e a quello attuale di Eluana Englaro, da diversi anni in coma persistente. Il problema non può essere rimosso. La società e, per essa, lo Stato, deve intervenire anche perché non si avallino, per altre vie, decisioni arbitrarie.

Il papà di Eluana Englaro con una foto della figlia

Con questo vuoto legislativo, e per le gravi conseguenze che ne derivano, si è confrontato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Egli sollecita «il Parlamento a varare, si spera con il concorso più ampio, una legge sulla fine della vita». Troppo frettolosamente i giornali hanno parlato di apertura al testamento biologico, il cui esito potrebbe essere anche quello dell’eutanasia.

In realtà, la legge che si attende dal Parlamento è molto più impegnativa e tale da salvaguardare un triplice ordine di valori in gioco. Il primo riguarda il rispetto al paziente, con il «riconoscere valore legale a dichiarazioni inequivocabili rese in forma certa ed esplicita» e non, quindi, da supposizioni più o meno fondate. Al riguardo, si afferma che l’idratazione e l’alimentazione artificiali non sono terapie, ma sostegni vitali e, quindi, le dichiarazioni non possono escluderle. Il secondo riguarda il ruolo del medico che non può essere ridotto a semplice esecutore, ma è chiamato a «vagliare i singoli casi concreti e decidere in scienza e coscienza».
Cesare Scoccimarro, paralizzato dalla Sla dal 1998, che sul suo sito pubblica una lettera aperta dal titolo: Io voglio vivere.
La fiducia tra medico e paziente

In altre parole, le dichiarazioni hanno valore orientativo (e non costrittivo), nella consapevolezza che solo nel rapporto fiduciario medico-paziente e familiari si può trovare, nel caso concreto, la soluzione giusta per il paziente.
Il terzo valore si riferisce al sistema sanitario, chiamato a garantire all’ammalato il diritto alla cura, così che il rifiuto dell’accanimento terapeutico non si trasformi in abbandono terapeutico, cosa che accadrebbe con la sospensione delle cure ordinarie, proporzionate, tra cui idratazione e alimentazione artificiali. Oltre al no all’accanimento terapeutico e all’eutanasia, i vescovi aprono su un orizzonte di valori umani che possono guidare i cattolici, in dialogo con le persone di buona volontà, all’elaborazione di una legge giusta a servizio della dignità del vivere e del morire umano.
Luigi Lorenzetti

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