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Amedeo Lomonaco
Verificare se all’interno della sperimentazione genetica siano presenti aspetti che attuano di fatto un’azione eugenetica. E' l’obiettivo del Congresso internazionale incentrato sul tema “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell’eugenetica” che si terrà venerdì e sabato prossimi in Vaticano. L'avvenimento, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita, è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Alla conferenza stampa hanno partecipato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, mons. Ignacio Carrasco de Paula, cancelliere del medesimo dicastero, e il prof. Bruno Dallapiccola, docente di Genetica medica all’Università “La Sapienza” di Roma.

Le conquiste genetiche - ha detto mons. Fisichella - appartengono al costante e spesso frenetico progresso tecnologico che sembra non avere più confini: oggi è possibile la mappatura di migliaia di geni che permettono la conoscenza di diverse tipologie di malattie e viene offerta spesso la concreta possibilità di superare la patologia ereditaria. Ma ogni conquista scientifica porta sempre con sé, inevitabilmente, quello sguardo bifronte che mostra la bellezza e insieme la tragicità. Diversi progetti in ordine scientifico, biologico e politico - ha spiegato mons. Fisichella - comportano “un giudizio etico, soprattutto quando si vuole sostenere che si attua un’azione eugenetica in nome di una ‘normalità’ di vita":

“Questa mentalità certamente riduttiva, ma presente, tende a considerare “che ci siano persone che hanno meno valore di altre, sia a causa della loro condizione di vita quali la povertà o la mancanza di educazione, sia a causa della loro condizione fisica: ad esempio i disabili, i malati psichici, le persone in cosiddetto ‘stato vegetativo’, le persone anziane con gravi patologie”.

“Un sottile formalismo linguistico unito a una buona pubblicità sostenuta da grandi interessi economici - ha osservato mons. Fisichella - fa perdere di vista i veri pericoli sottesi e tende a creare una mentalità non più in grado di riconoscere l’oggetivo male presente e formulare un giudizio etico corrispondente”. Il rischio di una deriva della genetica - ha aggiunto - non è solo un richiamo teorico, ma appartiene purtroppo a una mentalità che tende lentamente, ma inesorabilmente, a diffondersi. Mons. Ignacio Carrasco de Paula ha poi ricordato l’obiettivo principale del Congresso:

“L’obiettivo principiale è di richiamare l’attenzione di tutti sui notevoli benefici che possiamo ottenere dalla ricerca genetica se - come sembra corretto e auspicabile - vengono indirizzati verso di essa sia l’impegno dei ricercatori che gli investimenti pubblici e privati, superando la tentazione delle apparenti scorciatoie proposte dalla eugenetica”.

Il professor Bruno Dallapiccola si è soffermato sulle conseguenze legate alla conoscenza del genoma umano: molte conoscenze mediate dalla genetica prima di essere sperimentate - ha affermato - vengono trasferite al “mercato della salute e sono proposte agli utenti al di fuori dei protocolli” con i quali la medicina dovrebbe avvicinarsi alle innovazioni diagnostiche. Il riconoscimento della variabilità biologica aiuta comunque a guardare “ad ogni paziente non più come ad un numero e neppure come ad un semplice prodotto del codice genetico, ma - ha aggiunto il prof. Dallapiccola - come ad una persona”:

“C’è una grande ammirazione per questo progresso scientifico che veramente sta cambiando la vita. La comprensione delle basi biologiche delle malattie ci consente di migliorare gli approcci diagnostici. Ma naturalmente servono prudenza e cautela nell’uso perché non tutto ciò che viene venduto come 'oro colato' effettivamente può fare il bene dell’umanità”.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, mons. Fisichella ha infine sottolineato come il pensiero della Chiesa, anche su temi legati all’inizio e alla fine della vita, non debba mai essere emarginato:

“Perlomeno in una società democratica laica, le istanze che sono presenti sul territorio devono essere non soltanto sentite. Il legislatore stesso dovrebbe avvertire l’esigenza di sentire le varie istanze per cercare di arrivare a formulare poi una legislazione che sia più possibile conforme a quella società pluralistica nella quale anche i cattolici si trovano”.

"La pietà conosce una sola azione: lasciar morire i malati". Parola di Hitler

Forse vi può sembrare esagerato ma la riflessione che facevo in questi giorni è quella di come tanti atteggiamenti e parole usate in queste ultime settimane di forte tensione sul caso Eluana, ricalchino in qualche modo quelle usate dalla propaganda di Hitler.

Oggi se si prova a sostenere che l’eutanasia è un crimine contro l’umanità e che a legalizzarla si rischia una deriva morale, come sotto il regime di Hitler si rischia di ricevere critiche e accuse.

Eppure basta leggere un qualsiasi libro che parla delle idee di Hitler sullo sterminio, per rendersi conto, che la storia se continuiamo così non ci ha insegnato davvero nulla.

Vi ho già parlato in un mio post sull’eugenetica come le idee diffuse di Galton ebbero grande sviluppo negli Stati Uniti e come arrivando in Europa vennero adottate dal nazismo. Hitler nella sua propaganda considerava l’eutanasia una pratica pietosa per eliminare le cosiddette “vite indegne di vita”.

Nel 1924-25 Hitler scrisse nel Mein Kampf: “Se non c’è più forza per combattere per la propria salute, il diritto a vivere viene meno”. E nelle conversazioni condotte fino al 1931 con Hermann Rauschning, allora presidente del Senato di Danzica, Hitler disse che la “pietà conosce una sola azione: lasciar morire i malati”.

Non vi sembra di averle già sentite ultimamente queste parole??

Con una lettera firmata di suo pugno il primo settembre del 1939 Hitler scrisse: “Il Reichsleiter Philip Bouhler - Capo della Cancelleria di Stato - ed il Dottor Karl Brandt - medico personale di Hitler -, sono incaricati a conferire a singoli medici i poteri necessari affinché a pazienti giudicati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile sia concessa una morte pietosa”. Da quel momento la macchina della “dolce morte” entrò a pieno regime. Prove fornite al processo di Norimberga (1945-1946) stimano che con l’eutanasia furono assassinati 275.000 individui, tra cui 6000 bambini.

Per far accettare il programma di eutanasia, la macchina della propaganda nazista cominciò a produrre film e cortometraggi che riprendevano individui repellenti, malati terminali e sofferenti, individui deformati dalle malattie, con l’idea di mostrare condizioni indegne di vita.

Nel 1941 venne diffuso il film Ich klage an (Lo accuso). In questo film si racconta di un professore di patologia, Heyt, sposato con la giovane Hanna, la quale è malata di sclerosi multipla. Heyt si sforza di curare Hanna, ma ad un certo punto decide di aiutare la moglie a morire. Il fratello di Hanna denuncia Heyt per omicidio. Ma nel corso del dibattito in tribunale i sei giudici concludono che la legge deve essere cambiata per permettere l’eutanasia. Nel film l’ex sindaco della città dove si svolge il dramma prende la parola e dice: “...Per quanto riguarda coloro che desiderano morire perché un tempo sono stati sani e ora non ce la fanno più, ebbene io credo che lo Stato, che ci impone il dovere di morire, debba anche darci il diritto di morire”.

Sarò ripetitiva ma anche queste parole non mi suonano nuove!! E difatti non lo sono, le abbiamo spesso sentite usare dai nostrani fautori dell’eutanasia.

I servizi di sicurezza rilevavano che l’unica vera opposizione contro il film, che era stato visto da 18 milioni di persone, e contro l’eutanasia veniva dalla Chiesa Cattolica. Il vescovo di allora di Munster, Clemens August Von Galen (beatificato il 9 ottobre 2005), denunciò aspramente il programma di eutanasia. Nella predica del 3 agosto 1941, Von Galen tuonò: “Se anche per un’unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli improduttivi - benché limitato in partenza solo ai poveri e indifesi malati di mente - allora in linea di principio l’omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri umani. (...) È impossibile immaginare quali abissi di depravazione morale e di generale diffidenza perfino nell’ambito familiare toccheremmo, se tale orribile dottrina fosse tollerata, accettata, messa in pratica”. La predica di Von Galen venne riprodotta su volantini e diffusa dagli aerei della Royal Air Force britannica. Solo la grande popolarità di cui il prelato godeva impedi ai nazisti di impiccarlo.

Il Britisn Medical Journal in un numero speciale del 1996 dedicato al 50esimo anniversario del processo di Norimberga ai medici nazisti, riportava un commento di Hartmut Hanauske-Abel della Cornell University di New York, che diceva così: “Ciò che è avvenuto nel 1933 in Germania può accadere ancora, in Europa e in Nord America. L’ethos della medicina non è saldo e immutabile, ma soggetto a distorsioni da parte delle forze politiche e sociali, e dalle applicazioni devianti della scienza e della tecnologia”. Ancora più chiara Alice Ricciardi von Platen, autrice del libro Il nazismo e l’eutanasia dei malati di mente, in cui spiega: “La propaganda nazionalsocialista ha impresso fortemente nelle coscienze questo modo di pensare e la vita pubblica attuale non offre alcun modello concreto contro i sostenitori del diritto dei più forti. Modificare questa concezione dei malati di mente e più in generale dei malati sarà un lavoro di generazioni, un compito che solo la diversa considerazione dell’uomo potrà realizzare”.

Oggi l’eutanasia in Olanda come ben sapete avviene anche sui bambini, una vera e propria selezione eugenetica. Si parte dal feto eliminando i bambini down, quelli talassemici per arrivare a quelli, già venuti al mondo, che non hanno la dignità di vivere perché non sono perfetti. Se poi l’applichiamo anche agli anziani, ditemi voi se questo non è nazismo.

Allora, è esagerato affermare che le parole e i concetti usati dalla lobby favorevole all’eutanasia sono molti simili a quelle utilizzate da Hitler e dai suoi medici?

E’ esagerato affermare che se si continua a calpestare la vita, quella considerata indegna – da alcuni chiaramente – si arriverà ad una vera e propria deriva morale?

UN TEMPO LI CHIAMAVAMO NAZISTI OGGI LI CHIAMIAMO LIBERALI!!!

L’eliminazione dei “difettosi” è il volto disumano dell’eugenetica di sempre: quella totalitaria di ieri e quella liberale di oggi. Difatti sono i liberali odierni i più grandi propugnatori di aborto, sterilizzazione, eutanasia ed eugenetica. Un tempo li chiamavamo nazisti oggi li chiamiamo liberali.

La “nuova eugenetica”, basata sulle biotecnologie, cerca oggi di creare in laboratorio il “nuovo Adamo” partendo dalla manipolazione genetica fino al “transgenismo” con DNA animale.

Il risultato è che nessuno è più libero di essere quel che è fin dalla nascita. Nessuno è più libero di essere consapevole della propria origine. Nessuno è, così, più responsabile. Nessuno deve, in sostanza, dare più risposte a nessuno. Si è liberi perché non si sa più da dove veniamo.

Questa pseudo-libertà, nichilista, questa mentalità ipocrita e violenta, genera soltanto morte e distruzione. Il vero volto di questa libertà è: falsa luce che acceca. L’illusione diabolica di poter fare tutto anche a spese degli altri, di chi non ha colpa alcuna. Il tutto con la benedizione della mentalità dominante.

È profondamente sbagliato ritenere che ci sia modernità solo quando la vita non ha più valore, l’eugenetica domina e il ricatto ideologico predomina, secondo lo schema: se non sei così e non fai così, allora non sei veramente moderno!

I soliti schemi, vecchi e da anni Settanta: l’aborto è una “conquista civile”, il divorzio è un “baluardo” della libertà individuale, ecc. La libertà dei “polli d’allevamento”, simili a quei “rivoluzionari da bar” messi alla berlina da Gaber dei primi spettacoli degli anni Settanta.

Un liberalismo razionale, umanistico e cristiano non può che prendere le distanze da questo meschino libertarismo privo di fondamenti etici.

L’unica vera libertà è continuare a difendere la vita e a denunciare ogni sopruso che si maschera di libertà.

COSA RISCHIEREMO DI PERDERE SE I BAMBINI AUTISTICI FOSSERO ELIMINATI DALLA POPOLAZIONE?

La misura dei livelli di testosterone nell’utero potrebbe aiutare a prevedere se un bambino può diventare autistico. Secondo uno studio per effettuare il test basterebbe il prelievo del liquido amniotico.

L’esame apre un dibattito sulle implicazioni etiche della scoperta: infatti i genitori dopo aver saputo che il neonato soffrirà di autismo potrebbero decidere di eliminare il feto. Lo ha spiegato l’autore dello studio, il professore Simon Baron-Cohen, che si è chiesto se “il test sia a questo punto consigliabile. Cosa rischieremo di perdere se i bambini autistici fossero eliminati dalla popolazione?”

Sicuramente molto se si pensa che Isaac Newton, Albert Einstein, George Orwell, H G Wells and Ludwig Wittgenstein mostravano i segni della sindrome di Asperger, mentre Beethoven, Mozart, Hans Christian Andersen and Immanuel Kant hanno ricevuto questa diagnosi dopo la loro morte.

Secondo lo psicanalista irlandese Fitzgerald “le persone affette da questa malattia in genere si comportano in modo inopportuno in contesti sociali, spesso egocentrici ed ipersensibili, mancano di buonsenso ma sono in grado di avere idee eccezionalmente originali, hanno un vocabolario molto esteso, interessi molto circoscritti e la loro intelligenza è in genere al di sopra della norma”.

Quello dell'autismo rimane però ancora un pianeta sconosciuto, ancora oggi esplorato da studi scientifici che non danno risposte definitive. Una realtà circondata da luoghi comuni. Che gli autistici siano per lo più bambini, misteriosi e forse non infelici nel loro isolamento. Che siano bambini enigmatici, e però tutti dotati di inspiegabili genialità.

Sicuramente le persone con la sindrome di Asperger non si potrebbero definire come semplici pazienti da ‘curare’, ma persone con grandi doti di intelligenza che possono contribuire attivamente allo sviluppo della società e della civiltà, come è già successo in passato. Il trattamento per la sindrome di Asperger, non c’è, ma attualmente si cerca di migliorare gli effetti collaterali che questi sintomi possono procurare. Poiché in fondo, spesso sono persone che hanno solo bisogno di essere accettati per le proprie caratteristiche.

Facciamo nostro gli interrogativi del professore Simon Baron-Cohen: il test a questo punto è consigliabile? E cosa rischieremo di perdere se i bambini autistici fossero eliminati dalla popolazione?

EUGENETICA: IERI E OGGI

Eugenetica, dal greco eugenetes, composto da eu- (“bene, buono”) e genos (“razza”), ovvero “buona razza”. L'eugenetica è quella disciplina che si occuperebbe del miglioramento della razza umana attraverso la manipolazione dei suoi geni o attraverso l'incrocio selettivo delle razze migliori. " (da http://www.riflessioni.it/dizionario_filosofico/eugenetica.htm)

Parlare di eugenetica oggi è quanto mai attuale forse però non tutti sanno che l'eugenetica, nata nel XIX secolo in Inghilterra, ebbe il suo periodo d'oro negli Stati Uniti nei primi trent'anni del secolo scorso allorché s'organizzò in un potente movimento che tentò d'imporre una politica di miglioramento del patrimonio ereditario della popolazione attraverso il controllo sociale della riproduzione.
A coniare il termine eugenetica già alla fine dell’Ottocento, fu il britannico Francis Galton, cugino e discepolo di Charles Darwin, del quale sviluppò le teorie sulla selezione naturale applicata alla società umana: gli uomini tendono a riprodursi oltre i limiti fino a generare una lotta per la sopravvivenza, che vede vincitori i più forti e intelligenti. Galton, poggiandosi anche sulla recente scoperta dell’ereditarietà dei geni, fa un passo ulteriore chiedendosi se non sia possibile "guidare" la selezione in modo da migliorare la razza umana. Strutturale nel pensiero eugenetico è il razzismo: lo stesso Galton teorizza l’inferiorità genetica di alcune razze, tra cui i neri e gli indiani d’America. Evidente anche la tendenza a separare nella società i "sani" dagli "insani", per evitare il moltiplicarsi di geni "deboli".

Nascono così le prime Società Eugenetiche. Negli Usa la teoria trovò consensi perché intercettava le ansie di molti bianchi che vedevano minacciata la nazione americana dai cambiamenti economici e demografici (nei primi anni del ’900 c’è una forte immigrazione dall’Europa meridionale e orientale). Nel 1930 erano almeno una trentina gli Stati americani dove vigevano leggi eugenetiche che autorizzavano la sterilizzazione degli "insani", ovvero criminali, epilettici, deficienti mentali, pervertiti sessuali e anche "non bianchi".
Gli eugenisti non erano un gruppo di personaggi stravaganti, ma un movimento ben rappresentato in istituzioni legate a famiglie benestanti, istituzioni pubbliche, università prestigiose (comprese Harvard, Yale e Princeton). Da questa rete il movimento ricavò la forza per attuare una vera e propria politica eugenetica articolata in tre programmi:

• innanzitutto lo studio degli alberi genealogici per identificare le famiglie "difettose" che generavano persone "inadatte"; poi
• l'eugenetica negativa", che prevedeva la segregazione e la sterilizzazione coatta;
• l'eugenetica "costruttiva" che doveva favorire la creazione di una master race, una razza dominante, modellata sulle caratteristiche dell'élite americana.

Nel corso di alcuni decenni centinaia di migliaia di "deboli di mente" ed "inadatti" subirono procedure di segregazione, sterilizzazione o ingiustizie di vario tipo.
Tratti sociali come l’alcolismo, la prostituzione o la povertà, conseguente alla disoccupazione e alla malattia cronica, erano in sostanza imputabili ad una degenerazione ereditaria, a sua volta accertata attraverso la misurazione del QI, e perciò del presunto potenziale intellettivo. Era dunque scientificamente provata la connessione tra scarsa intelligenza e comportamento degenerato, e da ciò discendeva una biologizzazione delle differenze tra le classi sociali, per cui la diversa distribuzione di potere, funzioni e ricchezza tra le stesse era proporzionale al diverso livello di dotazione intellettiva ereditaria. La degenerazione tuttavia era attribuita anche a particolari razze e gruppi etnici, di cui si sosteneva l’inferiorità e perfino la tendenza criminale. I popoli dell'Europa meridionale e orientale, ebrei in particolare, erano considerati geneticamente inferiori e si osteggiavano i matrimoni misti, paventando il rischio di una contaminazione del sangue dei pionieri americani. I negri, poi, erano considerati in assoluto possessori del più basso potenziale intellettivo.

In quegli anni in Europa la sterilizzazione a scopo eugenetico alimentò molti dibattiti, ma la pratica non ebbe larga diffusione. I provvedimenti più significativi di sterilizzazione coatta furono quelli nazionalsocialisti degli anni Trenta, ispirati da una concezione biologica delle razze e dall’esigenza di preservare l’integrità e la purezza del sangue della razza ariana dal rischio di inquinamenti e contaminazioni. Questo programma di igiene razziale fu attuato dapprima attraverso la sterilizzazione su larga scala di intere categorie sociali di indesiderabili e più tardi con la loro sistematica soppressione fisica mediante eutanasia. L’uccisione pietosa di vite indegne di essere vissute, handicappati fisici e mentali, malati incurabili, anziani, sfociò quindi nello sterminio di massa di interi gruppi etnici e razziali ritenuti biologicamente inferiori e pericolosi per la purezza della razza nordica ariana, come gli zingari e gli ebrei.

In questo quadro si può meglio comprendere il sostegno culturale di cui ha goduto il nazismo, il quale poté in breve assurgere al potere proprio in ragione di un certo clima e di determinate alleanze culturali e scientifiche. Sbaglierebbe però chi pensasse che la sconfitta del nazismo abbia significato anche la fine dell’eugenetica. Il movimento aveva radici ben più profonde di quelle del nazismo ed era ampiamente diffuso al di fuori della Germania. Il dopoguerra è perciò un periodo di ripensamento sulla strategia da seguire.

Le Società di Eugenetica cambiano nome nei più presentabili e moderni Istituti di Biologia Sociale, è proprio a partire dagli anni ’50 che fioriscono due correnti che tutt’oggi sono la più matura espressione del pensiero eugenetico: il movimento per il controllo delle nascite, che ha nel Population Council (fondato da John D. Rockefeller III) e nell’International Planned Parenthood Federation (IPPF, fondata da Margaret Sanger, presente oggi in più di 180 Paesi è la più grande multinazionale per la contraccezione e l’aborto) i protagonisti principali.
Margaret Higgins Sanger (1883-1966) arrivavò deprecare l'aiuto dei governi o delle istituzioni filantropiche per i poveri e gli inadatti, che dovevano piuttosto "sparire" e "morire di fame" per non togliere risorse agli adatti.

Questi movimenti hanno un minimo comun denominatore: una visione totalmente negativa dell’uomo e di sfiducia verso il futuro, che richiede il formarsi di una "oligarchia illuminata" in grado di guidare un’umanità altrimenti dannosa per sé e per il pianeta, fino a programmare e selezionare gli individui. Che poi sono i presupposti della Carta della Terra, i quali compaiono nell’attività dell’Onu. Come stupirsi che nell’Assemblea generale (ottobre-novembre 2004) si sia evitato di far approvare una risoluzione di condanna per la clonazione umana?

E come stupirsi allora che la pratica eugenista si sia protratta fino ad anni recenti, com'è il caso dei paesi scandinavi? In questi casi la decisione di sottoporre a sterilizzazione varie categorie sociali non era tanto ispirata da motivi razziali quanto piuttosto dall’intento di impedire la diffusione tra la popolazione di malattie genetiche ed ereditarie che avrebbero gravato sullo stato assistenziale, con un eccesso di spesa sanitaria.
Qualche dato: in Svezia tra il 1935 e il 1996 quando una coraggiosa campagna di stampa ha denunciato l’intensità del fenomeno, sono stati sterilizzati circa 230.000 tra handicappati, malati mentali e asociali, ossia persone socialmente marginali. Anche delinquenti, minoranze etniche, indigeni di razza mista e prostitute furono sottoposti al trattamento, imputati di pesare sull'assistenza pubblica e di essere portatori di malattie e di stili di vita dagli alti costi sociali. La sterilizzazione coattiva è rimasta in vigore fino al 1976, anno in cui una nuova legge rendeva obbligatorio il consenso degli interessati. Oggi le autorità pubbliche tentano un risarcimento economico per chi ha subito tale menomazione.

Lo stesso paradigma economicistico utilitaristico ed eugenetico connotava la legislazione di stati come la Danimarca, la Norvegia, la Finlandia la Svizzera. In Francia, benché storicamente illustri eugenisti abbiano teorizzato misure di igiene razziale (Carrel, Richet), la sterilizzazione a scopo dichiaratamente eugenico non è mai stata praticata, come peraltro in Italia. Più recentemente, piuttosto, ha preso consistenza il fenomeno della sterilizzazione di donne affette da disturbi psichici, con motivazioni peraltro diverse da quelle propriamente eugenetiche, ascrivibili piuttosto a ragioni di ordine terapeutico o cautelativo.

Oggi una forma di eugenetica viene dalle tecniche diagnostiche prenatalili. Una speciale attenzione deve essere riservata alla valutazione morale di queste tecniche, che permettono di individuare precocemente eventuali anomalie del nascituro. “Quando sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino e per la madre e sono ordinate a rendere possibile una terapia precoce o anche a favorire una serena e consapevole accettazione del nascituro, queste tecniche sono moralmente lecite. Dal momento però che le possibilità di cura prima della nascita sono oggi ancora ridotte, accade non poche volte che queste tecniche siano messe al servizio di una mentalità eugenetica, che accetta l'aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è ignominiosa e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il valore di una vita umana soltanto secondo parametri di «normalità» e di benessere fisico, aprendo così la strada alla legittimazione anche dell'infanticidio e dell'eutanasia”.

Oggi donne in gravidanza vengono consigliate di sottoporsi ad esami invasivi, per fare diagnosi prenatale per sindrome di Down. Sembrerebbe che ogni 10 diagnosi prenatali positive per sindrome di Down, statisticamente, 8 donne decidono di abortire.

Ecco i risultati di tale pratica eugenetista:
- ogni 100/300 amniocentesi, si perde un bambino, a causa del fatto che tale pratica e' invasiva
- ogni 40/100 biopsie dei villi coriali, si perde un bambino a causa del fatto tale pratica e' ancora piu' invasiva dell'amniocentesi

Per non far nascere un bambino affetto da sindrome di Down, ne sacrifichiamo in nome dell'eugenetismo da un minimo di 3 sani, ad un massimo di 10-12 sani.

“L’inviolabilità della vita umana è il fondamento su cui sono costruiti i principi di giustizia. Dai sacrifici umani alla schiavitù, abbiamo proibito pratiche che assoggettano gli individui allo sfruttamento di altri. I geni non sono come i lego e i bambini non devono essere programmati dai genitori” William Hurlbut (genetista della Stanford University, 12/01/2005)

Medititiamo!

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