Dignitas: la clinica della morte

La notizia è rimbalzata sui grandi quotidiani di tutto il mondo. Due anziani coniugi inglesi, Peter e Penelope Duff, hanno scelto di morire insieme, il 27 febbraio, nella clinica Dignitas in Svizzera. Lo ha annunciato la famiglia dei due, a Bath. Peter, 80 anni, ex imprenditore e esperto di vini a livello nazionale, aveva un cancro al colon e al fegato; sua moglie Penelope, 70 anni, soffriva di un raro tipo della stessa malattia.

Dignitas è una associazione svizzera per il suicidio assistito, fondata il 17 maggio 1998 dall'avvocato Ludwig Minelli, con sede a Forch (Zurigo). Conta 5 mila membri. L'associazione, che accetta le richieste indipendentemente dalla nazionalità del richiedente, non aiuta solamente le persone colpite da gravi malattie fisiche non curabili, ma anche chi è sofferente di gravi malattie mentali non curabili.

Dal 1998, sono state “uccise” quasi 1000 persone. I tedeschi (57,43%) sono la maggioranza assoluta, poi gli inglesi (10,40%) e i francesi (8,17%). Italiani pochi: l'1,24%.

All'inizio i candidati al suicidio parcheggiavano ai margini di un bosco, del comune di Maur (Svizzera) davanti a un ristorante chiuso ormai da anni. L'infermiera poggiava la pozione letale sul cruscotto. Il candidato prendeva la pozione e la mandava giù. Dai due ai cinque minuti per perdere conoscenza, da venti minuti a un'ora per costringere il cuore alla resa. “L'associazione ha dovuto accontentarsi di un'auto parcheggiata perché non le restava altra scelta”, confermava Ludwig Minelli.

La Dignitas all’inizio non aveva una casa. C'era la sede legale a Forch, nel Canton Zurigo, ma Minelli e la sua équipe medico infermieristica dovettero lasciare l'appartamento zurighese che avevano affittato per otto anni. Sfrattati. Perché la gente del palazzo non ne poteva più dell'andirivieni di bare e agenzie di pompe funebri dal quarto piano.Dignitas allora ha provato a Stäfa (sempre nel Canton Zurigo). Niente da fare.

Ha cercato a Maur, dove vive lo stesso Ludwig Minelli. Anche lì, rifiuto. In un caso è stato usata la camera di un albergo di Winterthur ma i gestori, che non ne sapevano nulla, quando l'hanno scoperto sono andati su tutte le furie. Tutto questo con lo strascico prevedibile di reazioni politiche, di cause e di ricorsi.
Tutto sul piano amministrativo, perché dal punto di vista penale non c'è partita.

Nessun Comune ci teneva a diventare noto per il turismo della morte. Gli amministratori di Maur impedirono a Minelli di utilizzare anche casa sua per gli aspiranti suicidi. Secondo lui, un sopruso, una dittatura inaccettabile.
Finché i pazienti erano elvetici il problema non esisteva perché erano i medici a spostarsi nelle loro case. Ma il fatto è che la maggioranza dei candidati alla morte arrivava dall'estero, prevalentemente dalla Germania.

Questa “dolce morte”, come la chiamano alla Dignitas, più che somministrarla la preparano: lo fa l'infermiera più fidata di Minelli, Erika Luley. L'aiuto al suicidio passivo è autorizzato soltanto se il paziente compie autonomamente il gesto finale. Nessuno può indurlo a bere, né passargli la dose senza ritorno di pentobarbital sodico diluito con l'acqua. E fino all'ultimo istante può ripensarci, come qualche volta è successo. Quando tutto è finito Erika controlla il polso, chiama Minelli per comunicargli l'ora del decesso e telefona alla polizia che come sempre aprirà
un'inchiesta che finirà nel nulla.

Oggi la Dignitas si trova in un loft. Nessuna scritta all'ingresso del secondo piano di Ifanstrasse 12A, un enorme capannone di magazzini affacciato sulla ferrovia nella periferia industriale di Schwerzenbach, paesino a 20 chilometri da Zurigo. “Cera un viavai di auto nere, tipo carro funebre. Qualcuno si è lamentato, così adesso fanno uscire i cadaveri dal retro”, borbotta un operaio della ditta a fianco.

La Dignitas si occupa di tutto: assistenza legale, documenti, ricetta medica del cocktail di barbital che porta alla morte, cremazione del cadavere, spedizione dell'urna a domicilio, sempre che le ceneri non vengano gettate nel lago, come transfughi dell'associazione sostengono sia accaduto in passato.

Tra le Organizzazioni solo Dignitas, oltre alla bernese Exinternational, accetta di aiutare il suicidio di chi ha il passaporto di un Paese dove l'eutanasia è vietata. Su sollecitazione dei propri soci, la Exit Italia (Exit - 50 mila membri - è stata fondata nel 1982 da Hedwig Zürcher e Walter Baechi. Apolitica e aconfessionale, assiste le persone che a causa di una malattia incurabile, di sofferenze o handicap insostenibili, desiderano morire. E' presente in 23 paesi del mondo), che ha sede a Torino e si batte in favore del testamento biologico, ha da qualche mese pubblicato online, traducendola dal tedesco, una relazione dettagliata sull'attività di Dignitas.

Attraverso Exit Italia ci si può iscrivere alla onlus svizzera, pagando circa 180 euro, la stessa poi invia a domicilio le carte necessarie, compreso il modulo per il testamento biologico. Il presidente, Emilio Coveri, ci tiene a precisare alla Exit che il loro ruolo è solo di tramite. Il successivo rapporto non li riguarda. Ma guarda un po’!!! Precisazione necessaria però, perché la legge italiana potrebbe perseguirli per omicidio di consenziente, un reato che prevede da 6 a 12 annidi pena.

Il dato interessante è che sembra che al momento ci sarebbero alcuni italiani che hanno già inviato a Zurigo le proprie cartelle cliniche, versando circa 4000 euro a Dignitas. E continuano a dichiamarsi una Onlus.

Tutti i tentativi per bloccare la "fabbrica della morte" di Minnelli ad oggi sono tutti falliti. La magistratura elvetica può intervenire come accennavo nel post precedente, solo se vi è interesse personale (lucro, eredità) o se la morte è provocata direttamente. Ma a Dignitas chiaramente ci stanno molto attenti.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

...a legger ti leggo ed il mio pensiero "diverso" non è un ostacolo nel commentare quanto riporti.. il fatto è che mi "limita" la tua "certezza" ... rara qualità in questo mondo fatto di "sentito dire" ...

Buona domenica!

Anonimo ha detto...

Speriamo di non finire così anche in Italia...

terry ha detto...

Ciao ZoE, sono contenta che tu abbia commentato:-)
Non sentirti assolutamente limitato dalla mia "certezza" come la chiami tu, perché non è così, magari avessi tutto chiaro. Un punto di vista diverso è sempre ben accetto, soprattutto se è fatto nella verità reciproca.
un abbraccio

terry ha detto...

Ciao anna, sì speriamo..
un abbraccio

Anonimo ha detto...

Ciao terry sicuramente non si può giudicare chi arriva a decidere di uccidersi per alleviare le sue sofferenze, ma credo che si debba fare innanzitutto il possibile attraverso le cure palliative e non lasciare sole queste persone, piuttosto che incrementare questi luoghi di morte.
Federica

terry ha detto...

ciao fede,
sono d'accordo con te, bisognerebbe fare di più in quell'ottica.
un abbraccio

Anonimo ha detto...

Mi spiace che in Italia non esista una struttura del genere, ma non potrei mai aspettarmelo da un paese cattolico ed arretrato come il nostro. Qui le sofferenze bisogna patirle fino all'ultimo: la Chiesa ha il diritto di decidere cosa gli altri debbano fare della loro vita... Che schifo di paese! Quando sarà il momento, sapremo a chi rivolgerci

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