Febbre suina: tra delirio economico e follia ambientale

Dopo il morbo mucca pazza e la più recente aviaria, un’altra influenza ha risucchiato l’umanità in un vortice di panico: la febbre suina. Prima di cadere nella spirale della paura è bene fare alcune importanti riflessioni che possano aiutare a comprendere quello che sta accadendo.

Un dato di partenza per inquadrare nella sua giusta dimensione la questione dell'influenza (o febbre) suina è quello del tasso di mortalità di questa malattia di cui a stento qualcuno parla in questa bagarre che si è scatenata sui media: l'ipotesi avanzata dall'European Centre for Diseases Prevention and Control (Ecdc), un'agenzia dell'Unione Europea, è quella di un tasso di mortalità simile a quello dell'influenza stagionale, che negli over 65 è pari all'1%. Questo è quanto ha affermato in questi giorni in una conferenza stampa a Stoccolma Angus Nicoll, capo del Programma influenza ente europeo.

Certo, la situazione è in continua evoluzione e viene costantemente tenuta sotto controllo, ma questo è il punto fermo da cui occorrerebbe partire.

In secondo luogo va anche sottolineato che i casi di morte che si sono avuti in Messico (8 su un totale di 99 persone infettate) non sono stati ancora analizzati al meglio nella loro evoluzione patologica.

C'è addirittura chi mette in dubbio la causa virale da febbre suina come la causa determinante della morte di tali soggetti. E non è una persona qualunque colei che fa questa affermazione bensì Tereza Brugal, presidente della Società spagnola di epidemiologia, che in una intervista pubblicata nel sito del quotidiano spagnolo El Mundo dichiara che tali decessi potrebbero anche essere dovuti ad un insieme di altre concause aggravanti come ad esempio il ritardo nella diagnosi e nel trattamento dell'infezione (per l'inadeguatezza del sistema sanitario messicano), un debole sistema immunitario da parte degli infettati e la presenza di altre patologie pregresse (per le cattive condizioni alimentari e igieniche in cui vivono moltissimi messicani; Città del Messico è infatti una delle città più popolose e inquinate del mondo).

I media, tuttavia, puntano più sul numero complessivo di
pazienti colpiti cercando di suscitare
maggior ansia e coinvolgimento generale e rimanendo ambigui rispetto al numero di casi effettivamente mortali. Sicuramente ci sono dunque altre motivazioni in gioco. Non per niente il costo dei vaccini influenzali in Messico in questo periodo è quasi decuplicato. Una manovra farmaceutica a livello internazionale in questo senso non è da escludersi. Del resto, è già accaduto in passato.

A partire da queste premesse che riflessioni si possono fare?
La prima che mi viene in mente è ovvia ed è sempre la stessa per ogni allarme di tipo “alimentare”, ossia la condizione grave in cui gli animali da carne vengono allevati, con mangimi “monotematici”, in spazi angusti, sovratrattati farmacologicamente e magari a contatto con nitrati ecc. È chiaro che in queste situazioni i virus hanno buon gioco nella loro corsa alla riproduzione, alla mutazione e alla colonizzazione degli organismi. Lo stretto contatto con gli allevamenti intensivi, e magari in condizioni di scarsa igiene, pare il mix necessario per la trasmissione del contagio all'uomo (così come pare sia accaduto per il primo caso accertato in Messico).
Tutto, però, è molto controverso.
Ad esempio, l'Organizzazione mondiale per la salute animale sostiene che non vi sono focolai di influenza suina negli allevamenti di maiali messicani e che non è dimostrata alcuna trasmissione tra le due specie, perlomeno non in questa occasione.
Un altro aspetto della questione è che, a fronte di quello che sta accadendo, dovremmo perlomeno riflettere sul fatto che la produzione di animali clonati, e quindi con lo stesso patrimonio genetico, come da più parti si auspica ormai col sostegno dell'industria biotech, ci metterebbe in realtà in una situazione catastrofica di fronte a eventualità di pandemie generalizzate, dato che solo la diversità “individuale” può trovare le strategie per far fronte a questo tipo di situazione biologica.
È la biodiversità che va incentivata. Non l'omologazione


Altra riflessione che inquadra il tutto da un altro punto di vista: ma quanto ci sta nuocendo viaggiare come folli intorno al mondo in aereo per i motivi più disparati, superficiali e assurdi? Questo frenetico traffico mondiale di persone, animali e oggetti cosa sta causando a noi stessi e al pianeta? Quante piante e animali esotici stanno devastando i nostri ecosistemi e viceversa? Quanti insetti e batteri, e appunto anche virus, viaggiano beati incontro a “paradisi fiscali” dove non hanno antagonisti? Ma cosa stiamo esattamente facendo? Boh.

Eppure, perlomeno fino al 28 aprile scorso, l'OMS ha “ribadito con forza” che non si raccomandano né chiusura delle frontiere né restrizioni ai viaggi internazionali. L'importante, secondo la massima organizzazione mondiale che dovrebbe tutelarci a livello sanitario, è rimanere “calmi e razionali”, che probabilmente, tradotto nella lingua del mercato della salute, significa vaccinarsi o munirsi di antivirali e continuare a spendere e spandere in ogni ambito. Primum non nocere... al salvadanaio del sistema.

Ultimo dato di fatto su cui spendere una parola: un essere umano è costantemente a contatto con batteri e virus di ogni genere. Virus e batteri possono sì avere un potenziale nocivo, ma questo deve fare i conti con il nostro sistema immunitario. E non è una differenza da poco, altrimenti saremmo estinti come specie già da un pezzo. Se un sistema immunitario è equilibrato e in buona forma i rischi di complicazioni gravi dovuti a un'infezione si riducono moltissimo. Salvaguardare quindi con l'alimentazione e lo stile di vita il proprio benessere psicofisico è sempre e comunque un buon investimento. Anche per il Pianeta. Ad esempio, mangiare poca carne oltre che a garantire un migliore stato di salute a chi lo pratica consentirebbe di limitare il numero di allevamenti e conseguentemente di aumentare gli spazi e/o il modo di allevare gli animali destinati all'alimentazione umana. Il che ridurrebbe la loro sofferenza. Se poi si volesse divenire vegetariani... la febbre dell'oro non ci contagerebbe.
Valerio Pignatta

8 commenti:

Yves ha detto...

Dopo 20 anni di lavoro nel marketing farmaceutico pensavo di non stupirmi più di niente.
E invece...!

Un abbraccio
Orsobruno

terry ha detto...

Quando ci sono in ballo interessi economici stratosferici, non c'è da stupirsi di nulla.
Cosa è rimasto di sano intorno a noi, a partire da quello che mangiamo, quello che respiriamo o quello di cui ci vestiamo? Ben poco purtroppo e bisogna solo ringraziare l'uomo.
Che questo ennesimo dramma possa quanto meno far riflettere..
un abbraccio

Anonimo ha detto...

La causa della psicosi sta nel fatto che i giornalisti si venderebbero l'anima al diavolo per uno scoop.
In questo specifico caso avrebbero potuto pensare alla reazione smisurata della gente. È vero che parlare di scenari apocalittici attira l'attenzione del pubblico ma poi il pubblico rimane spaventato.
Poi da cosa? un mucchio di gonfiature e storpiature.

terry ha detto...

Infatti è proprio così, tutto ciò che è apocallittico nel senso negativo fa notizia.
Invece di dare informazioni corrette, si rimane ambigui, fomentando l'onda della psicosi.
Sarò anche molto critica ma gli interessi in cmpo sono alti e noi possiamo solo intuirli.
un abbraccio

Sergio Montis ha detto...

Ciao Terry, sono appena tornato e passo da te per lasciarti un abbraccio grande..
A presto
Free

terry ha detto...

Freeee ben tornato:-)
Sono contenta che tu sia passato, spero sia andato bene il tuo soggiorno argentino:-)
Un abbraccio

Paolo ha detto...

credo che dobbiamo abituraci a continue epidemie, infezioni... è il prezzo del progresso dicono: ma la domanda mi sorge spontanea... sicuro che è progresso? Ciao e buona settimana!

terry ha detto...

Il progresso dell'autodistruzione.
Ciao paolo.
un abbraccio

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