Osservando le questioni di bioetica che agitano l’Italia, dal tema della selezione embrionale, all’interruzione volontaria di gravidanza e all’implicita deriva eugenetica che emerge quando si rivendica il diritto di aborto nei confronti di chi è malato, alle forme di abbandono terapeutico che si aprono ad una implicita deriva eutanasica, per finire ad una superficiale proclamazione dell’anarchia etica, è come se in Italia, oggi, si fosse bloccato il dislivello tra la dimensione materiale e la dimensione spirituale.

Prima di ogni legge positiva o diritto, vi è una la legge naturale morale che è la capacità della ragione umana di conoscere e aderire alla verità. Questo diritto naturale non è sullo stesso piano di quello positivo: non è modificabile a piacimento, a seconda dei gusti della maggioranza del momento, seguendo le regole della moda o della società. La legge naturale è inamovibile ed immutabile.

Anche quando la legge naturale non coincide esattamente con le leggi biologiche, sappiamo che se facciamo delle cose potrebbero farci male. Per esempio, nessuno può mangiare dei sassi senza trasgredire le leggi del nostro corpo e, quindi, senza stare male. Quasi tutti sappiamo che uccidere un essere umano innocente è sbagliato.

Dunque se non consideriamo l'essere umano come un essere anche psicologico, spirituale, e sociale, la nostra relazione con gli altri sarà problematica, lontana dalla realtà e il più delle volte ingannevole. Da questo comprendiamo che esiste una legge che ci aiuta a stimare la dignità umana e la vita nella società.

A questo punto uno si potrebbe chiedere se la “legge naturale” esiste per caso, o per il desiderio di certe divinità mitologiche o forse per la volontà di Dio. Per qualcuno l'artefice di questa legge è un Dio sconosciuto per altri è il Dio d’Israele dal quale derivano anche i Dieci Comandamenti e tutte le altre leggi.

Ognuno di noi poi ha una coscienza, l'ambito cioè dell'intimità nel quale prenderà le decisioni e sarà responsabile delle conseguenze. In quanto responsabili delle nostre scelte siamo per logica persone libere. Libertà che significa in ogni momento e per ogni persona, scegliere tra il bene e il male.

La coscienza, è un a risorsa importante per l’uomo ma per esserci utile, deve essere educata. Non si può obbligare nessuno ad agire contro la propria coscienza. È chiaro che gli stessi che difendono gli atti ripugnanti o i crimini contro l'umanità non sono obbligati a rispettare le coscienze. È così però che ci scontriamo con il male.

In ambito scientifico ad esempio, non è lo stesso studiare per costruire un'arma nucleare, che studiare fisica nucleare per scoprire radiazioni che permettano di curare o mitigare un cancro. Ed è evidente che uno scienziato con un sano senso etico sceglierà la seconda alternativa alla prima, preferirà cioè che la conoscenza scientifica sia al servizio di una causa che aiuti l'umanità e non di un'altra che minaccia di distruggerla.

Di esempi se ne potrebbero fare tanti, ma a volte ci troviamo di fronte casi limite nei quali una argomentazione seduttrice può condurre a decisioni immorali di scienziati, che nonostante la buona volontà, mancano di riflessione etica.

Assenza apparente perché si negano le credenze tradizionali, ma se ne affermano di nuove - perché l'uomo non può vivere senza credere in qualcosa -. Se l'uomo rinuncia credere in un solo Dio, la conseguenza è che adorerà idoli, che nella nostra epoca razionale, non saranno di pietra, o di metallo, ma saranno ideali manipolati, il proprio ego, la propria intelligenza, e così via.

Molti fini possono essere apparentemente buoni, ma troppe volte vengono minati per la perversa ideologia “del fine che giustifica i mezzi”. Così, per raggiungere la razza perfetta in Germania si è arrivati all’eliminazione di molti malati mentali, persone con handicap e siamo nel caso dell’eugenetica e dell’eutanasia. Oppure per raggiungere la mitica società senza classi, si è ritenuto opportuno assassinare nella ex Unione Sovietica milioni di persone. Queste nuove credenze pseudoreligiose si circondano dunque di idoli abominevoli davanti ai quali bisogna sacrificare vite umane.

Questa ideologia orribile sopravvive oggi grazie a forme più sofisticate: benedicendo l'eutanasia , promuovendo la sterilizzazione obbligatoria in certi paesi, imponendo l'aborto selettivo sui feti femminili, e così via.

Secondo l’etica e quindi la legge naturale mai però si può fare un male per arrivare al bene. Neppure si può fare un male minore per arrivare al bene. Al massimo, si può tollerare un male minore, ma il male non è mai consentito. Inoltre, bisogna sempre raggiungere il miglior bene possibile.

Se volessimo scattare una fotografia delle scelte e dei comportamenti della società in cui viviamo, ci renderemmo conto di trovarci davanti ad un relativismo etico dirompente. E’ così forte - questo relativismo - che svuota la verità dei suoi contenuti, per sostituirli con le opinioni che variano secondo il mutare del tempo e dei luoghi geografici. Nella prospettiva relativista, la vita umana non sarebbe un bene sempre e ovunque – un bene assoluto, come nella legge naturale –, ma lo sarebbe a seconda delle intenzioni che muovono il soggetto e a seconda anche delle circostanze esterne; dunque un bene relativo.

Ne segue che il criterio per giudicare come procedere nel campo della sperimentazione, e del fine vita, prescinde da quello che è un a-priori obiettivo ossia la tutela del bene della vita, per configurarsi invece in base ad altri fini, ritenuti a loro volta come un bene, anzi come un bene maggiore della vita stessa, quali il progresso, la conoscenza, il benessere di sé e degli altri, ecc.

Per dirla in parole più semplici in nome di fini nobili - il progresso della ricerca e i benefici che questo potrebbe portare al benessere dell’umanità - si accettano azioni meno nobili - la sperimentazione irriguardosa o addirittura uccisiva su soggetti ritenuti degni di minore attenzione, quali vengono talvolta considerati gli embrioni, i malati terminali o quelli in stato vegetativo.

Prendiamo ora in esame le obiezioni che le frange più accese del laicismo contemporaneo muovono tanto alla Chiesa, come a chi si ricollega a posizioni di natura filosofica che risultano peraltro in sintonia con essa.


Un primo aspetto che cattura l’attenzione nel dibattito bioetico contemporaneo è proprio la difficoltà con cui la cultura laica si rapporta con chi opera all’interno di istanze di tipo religioso, tanto che vi sono diverse impostazioni bioetiche che si auto-definiscono “laiche” proprio per marcare una distinzione, che spesso – lo vedremo – viene posta in modo capzioso.

La “bioetica laica”, “corrisponde ad un'esplicita auto definizione di un nutrito gruppo di autori, pur appartenenti ad aree di pensiero tra loro diverse, uniti soprattutto dalla polemica anti-religiosa e dal desiderio di “allargare” il più possibile i parametri di liceità degli interventi in campo bio-medico. Il concetto di “bioetica laica” andrebbe sottoposto ad un'accurata critica di carattere teoretico, visto che non dice praticamente nulla: non segnala le aree concettuali in cui ricercare i fondamenti della bioetica, non designa una particolare scuola di pensiero o una particolare impostazione di carattere filosofico o anche solo epistemologico; semplicemente designa le proprie origini come frutto di una polemica presa di distanze, da prospettive bioetiche nate grazie alla sensibilità di uomini di fatto appartenenti ad una fede religiosa. Rivendica per sé una sorta di monopolio della razionalità e ragionevolezza, negando praticamente il diritto di esistenza a una bioetica religiosamente ispirata”.

La bioetica, però, non è né “laica” né “clericale”, ma semplicemente una branca dell'etica che deve interrogarsi su alcuni peculiari tipi di comportamenti umani.

Anche il Manifesto di bioetica laica, pubblicato nel 1996 su “Il Sole-24 ore”, a firma di Flamigni, Mascagni, Mori e Petroni, riafferma lo stesso principio, per cui una bioetica che voglia essere veramente “libera” deve essere “laica” – cioè svincolata da una visione religiosa che comporterebbe la sottomissione ad un’autorità -, ma anche e soprattutto basata unicamente sul reciproco dialogo con il rifiuto categorico di principi esterni alle dinamiche del dialogo stesso, avallando così di fatto un’unica visione del mondo che è quella utilitaristica, frutto di una visione essenzialmente positivistica dell’ attività scientifico-tecnologica, che si troverebbe ad avere campo libero, avendo chiesto agli altri interlocutori di abbandonare le loro convinzioni, ma essendosi ben guardata dallo “spogliarsi” delle proprie.

Si tratta di un raffinato stratagemma retorico per rivendicare una sorta di “monopolio ideologico” ponendo le condizioni per poter accusare di “intolleranza” quanti semplicemente tentino di far valere posizioni diverse, magari basate su valori - anche umani, razionalmente riconoscibili - che aspirino ad una universale validità.

Se vogliamo tentare di riassumere i “valori” su cui tale prospettiva etica pretende di basarsi dobbiamo prendere le mosse dal grande valore attribuito al progresso scientifico e tecnologico, inteso come una sorta di “fine in se stesso” a cui eventualmente sacrificare anche altri valori, come ad esempio l’incolumità di alcuni di quelli che vengono garbatamente definiti come “esseri umani” per non attribuire loro la dignità di “persone”.

Secondo punto di riferimento per comprendere la “bioetica laica” è la riduzione del valore della vita alla valutazione della sua “qualità”, materialisticamente intesa, secondo parametri visibili, tangibili, quantificabili ed esplicitamente “codificati”.

Ma che cosa si intende nella cultura “laica” quando si parla della qualità della vita? Si tratta in genere di un concetto edonistico-utilitaristico della felicità intesa come esaltazione delle soddisfazioni umane e minimizzazione dei dolori. Solo ponendosi in tale ottica si può presumere di avere il diritto di stabilire quando, per qualcuno, “sia meglio morire che continuare a vivere”, o di avere la capacità di determinare quali siano vite che “meritino di essere vissute” e quali no.

Non sarebbe degna di essere vissuta, per esempio, quella vita in cui le soddisfazioni umane sono ormai non ci sono più e l'unica prospettiva - prima che arrivi la morte - è quella di soffrire, così come non appaiono degne di essere vissute le esistenze dei nascituri malati o malformati. O - peggio ancora - non sono degne di essere vissute le vite di tutti quegli embrioni che serviranno soltanto come “materiale biologico” (per tentativi di impianto o per esperimenti), al fine di consentire ad altri di vivere una vita di “qualità” migliore.

Concludendo , la “bioetica laica” vorrebbe giungere ad incidere nei luoghi di elaborazione del pensiero e pretenderebbe di dettare le regole del dialogo costringendo almeno uno dei dialoganti - il credente - a rinunciare alla propria identità.

Il desiderio che percorre tutti i testi del Magistero della Chiesa, invece, è esattamente opposto e parte dalla fiducia nell’idea che Cristo sveli profondamente l’uomo all’uomo e che le esigenze del Vangelo della vita non possono essere in contrasto con le richieste più profonde dell’uomo, solo che talvolta tali richieste risultano nascoste o mitigate in un torpore indotto dagli slogan della cultura dominante. Tale risveglio può avvenire in tutti gli ambienti, specialmente in quelli dove si elabora il pensiero o si aiutano le persone a costruire la propria identità.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Già.. il relativismo è il cancro che ha cominciato diversi anni fa con l'essere una parola dai più incompresa (ma l'allora Card. Ratzinger lo denunciava e ricordo tutta la mia fatica di tentare di spiegarlo durante una trasmissione radiofonica)
Ora purtroppo è la legge che permette a tutti di dire tutto e il contrario di tutto.
E il male è che non ci si tende conto che è l'anticamera della distruzioen della civiltà.

terry ha detto...

E' proprio così anna.
La distinzione tra valori assoluti, che costituiscono il criterio di discernimento dell'agire morale, e le norme concrete di comportamento legate alla storicità dei costumi e dei tempi, è sempre più ampia. Tu lo chiami cancro, questo relativismo etico, e hai ragione, perché è l'anticamira della morte di ogni valore, di ogni concetto naturale della vita. La vita diventerà sempre meno sacra e sempre più disponibile e relativa.
Un abbraccio

Anonimo ha detto...

Carissima Terry, grazie delle visite al mio blog, grazie dei tuoi splendidi commenti. certo che puoi prendere il Padre Nostro...con grande mio onore...
mi piacerebbe sapere di te, ma nel tuo blog non trovo nessuna sezione preposta
Anna Villani

terry ha detto...

ciao anna, grazie.
No, nel blog non c'è una sezione che parla di me, se non in modo generico, non credo possa interessare:-)
Però tu hai il mio indirizzo mail, abbiamo già avuto modo di scambiarci delle opinioni, per cui se vuoi puoi contattarmi tranquillamente.
PS.:venire nel tuo blog è un onore tutto mio:-)
un abbraccio

Anonimo ha detto...

ciao bel post, non ce ne rendiamo conto ma stiamo andando proprio versa questa direzione.
la bioetica laica, ce la mette tutta a far passare valori utilitaristici e ci sta riuscendo.
paolo

terry ha detto...

ciao paolo grazie, noi dobbiamo comunque continuare a dire come la pensiamo e a portare avanti i valori in cui crediamo. la storia del secolo scorso ci insegna ad essere vigili.
una bbraccio

Anonimo ha detto...

E'vero, il credente non è un pari con cui non essere eventualmente d'accordo, ma è il sostenitore di una posizione assurda, non rispettabile, irrazionale e intrinsecamente priva di valore. Purtroppo, oltre al trend relativista che è globale, abbiamo anche una classe accademica che ha voluto fare della scienza una nuova religione. Bel post, molto informativo.
Ciao
S&P

terry ha detto...

Grazie sudorepioggia,
ed è proprio vero quello che dici, anche nell'ultima parte.
Alcuni scienziati si credono dei guru, che invece di pensare alla ricerca fanno veri e propri proclami filosofici contro Dio.
Come se l'unica verità fosse la loro.Però se provassero con qualche formula a dimostrarmi che dopo la morte non c'è nessuno Dio potrei anche scrivermi a qualche loro corso!!???:-)
un abbraccio

Reginadistracci ha detto...

Hai colto due punti importanti: la cultura moderna 1. mette una presunta "qualità" al di sopra del valore della vita; 2. riduce l'uomo da fine a mezzo di un qualunque progresso (rovesciando la massima kantiana secondo cui bisogna agire facendo dell'uomo il fine), 3. usa il relativismo come arma per screditare le posizioni altrui.
Tuttavia, bisogna sottolineare con forza che la legge naturale non è esclusivamente cristiana. Molti assertori della legge naturale, e del valore indisponibile della vita, sono atei, vedi Pera e Ferrara. Secondo me, peccano di ingenuità tutti quelli che difendono la vita tirando in ballo la fede e Dio. Così facendo, cadono nella trappola preparata dai vari Flamigni e Mori: "A sì,Dio vieta l'eutanasia e l'aborto? E a noi che ce ne importa, noi non crediamo in Dio".

terry ha detto...

ciao regina, sì la legge naturale non è una prerogativa cristiana, infatti credo che sia venuto fuori dal post. Al di là del credere o non credere in Dio, l'uomo ha in sè una dignità che lo contraddistingue da ogni essere vivente. Proprio perchè è insita nell'uomo, dovrebbe essere accettata da tutti. Mentre il relativismo e l'utilitarismo snaturano il concetto di vita e di legge naturale, ponendo l'uomo come un mezzo e non più come un fine. Le conseguenze di queste ideologie sono stae sotto gli occhi di tutti.
Grazie per i tuo commenti sempre precisi e acuti.
un abbraccio

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