L'INIZIATIVA CONTINUA...

Autori
Viviana
Terry


Oggi vi presenteremo due testimonianze. Siamo convinte che più che le le nostre parole, contino molto di più quelle di chi vive sulla propria pelle una malattia invalidante e sceglie la vita.Ne abbiamo scelte due per questioni di spazio: quella di Salvatore Crisafulli (per due anni in stato vegetativo) e Mario Melazzini (medico malato di SLA).

Abbiamo inoltre creato dei banner che rimandano:
  • Uno al post precedente (per continuare a diffonderlo)
  • Un altro al post di Viviana "La vita è mia"
  • Un terzo al post di oggi

Chiaramente anche per questi strumenti potete scegliere di prelevare ciò che volete.

SI' ALLA VITA La Vita è adesso Guarda la vita
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Sfogo di Salvatore Contro L'eutanasia

Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita cerco anch’io di dare un piccolo contributo al dibattito sull’eutanasia. Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere.

Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio.


Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico, da avvizzita foglia d’insalata?

Ebbene, Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi "esperti" di qualità della vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui.

Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza.

Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato.

Intorno a me, sul mio personale monte Calvario, è sempre riunita la mia piccola chiesa domestica.

Mamma Angela, Marcello, Pietro, Santa, Francesca, Rita, Mariarita, Angela, Antonio, Rosalba, Jonathan, Agatino, Domenico, Marcellino, si trasfigurano ai miei occhi sbarrati nella Madonna, nella Maddalena, nella Veronica, in san Giovanni, nel Cireneo. Mi bastano loro per sentirmi sicuro che nessun centurione pagano oserà mai darmi la cicuta e la morte.

Salvatore Crisafulli
http://www.salvatorecrisafulli.it/testimonianze.htm


Quando la malattia incurabile fa scoprire il senso della vita

La storia inizia quando il medico di successo, sportivo, con una forma fisica invidiabile e una famiglia composta dalla moglie e tre figli, scopre di essere affetto dalla SLA, una malattia degenerativa che dopo averlo invalidato permanentemente lo avrebbe dovuto portare alla morte entro tre anni.

Così, l'uomo che scalava le montagne, che sembrava non aveva timore di nulla, il medico che curava i malati si scopre egli stesso profondamente malato. E' spaventato, triste, fragile, con la prospettiva di un immediato futuro fatto di sofferenza, dolore, disperazione.

Melazzini racconta in maniera cruda le tante difficoltà per accettare una malattia che giorno dopo giorno lo disabilita, la resistenza a portare il bastone, e poi ad andare in carrozzella. Descrive la rabbia che gli impedisce di accettare la sua condizione di malato e il desiderio di rimanere solo e morire lontano da tutto e da tutti.

Nel punto più basso della sua disperazione, Melazzini racconta di aver pensato seriamente alla forma moderna di eutanasia, cioè al suicidio assistito.
Nel maggio del 2003 scrive ad una clinica svizzera, "Dignitas", e risponde a tutti requisiti richiesti per iniziare le pratiche che dovrebbero portarlo alla morte.

Telefona alla clinica perché gli sembra assurdo che per suicidarsi basti un'e-mail. La telefonata è surreale. "Mi sembrava di parlare con un impiegato del ministero - racconta Melazzini -
Ho sentito un gelo incredibile".


I funzionari della clinica gli fissano un appuntamento per un incontro preparatorio. Nel libro il giornalista Piazza ha raccontato che Melazzini "provai ad immaginare la scena. Un luogo asettico, una stanza bianca con un medico biondo che lo informa del modo in cui lo ucciderà".

Ma Melazzini non andrà a quell'appuntamento con la morte; da quel momento, anzi, ha iniziato a combattere per la vita.
"Credo che in quel momento, sia pure a livello inconscio, sia venuta fuori la mia fede", spiega.

Come in una conversione, inizia un'altra storia, quella del medico che, proprio perché malato, capisce a aiuta di più i pazienti, quella dell'uomo che sa cos'è la sofferenza e per questo conosce a fondo l'umano e scopre la bellezza dell'anima.
"La malattia - ha scritto Melazzini - non porta via le emozioni, i sentimenti, e fa anzi capire che l'essere conta più del fare. Può sembra paradossale, ma un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità, fa brillare maggiormente l'anima".

Da quel momento l'oncologo malato di SLA comincia a combattere per cercare una cura contro la malattia. Conosce altre persone colpite dallo stesso male riunite nell'AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e insieme a loro conduce una battaglia di dignità e diritto all'assistenza.
Oggi Melazzini è presidente dell'AISLA, e nella riflessione in appendice al libro ha scritto: "Ciò che manca è una reale presa in carico del malato, una corretta informazione sulla malattia e sulle sue problematiche, una comunicazione personalizzata con la famiglia". (...) "Bisogna occuparsi del malato e impegnarsi affinché la malattia e la disabilità non siano criteri di discriminazione sociale e di emarginazione".

In merito al suicidio assistito, l'oncologo ha sottolineato che "
non si può chiedere a nessuno di uccidere. Una civiltà non si può costruire su un simile falso presupposto. Perché l'amore vero non uccide e non chiede di morire".

"Mi batterò perché la dignità delle persone fragili sia riconosciuta e favorita con i fatti", scrive Melazzini in conclusione. "Perché, sono convinto che un corpo malato può portare salute all'anima, rendendola più forte, più tenace, più determinata".


http://www.zenit.org/article-15087?l=italian


4 commenti:

Paolo ha detto...

Vedo che sei "lanciatissima".... Fino a Martedi sono occupato per la trasmissione ma da mercoledi ti drò ampio sostegno!!!! Ciao e buon week end! Paolo!

terry ha detto...

Ciao paolo,
sì diciamo che ci sto mettendo un certo impegno:-)
Ho imparato anche a fare i banner..ho detto tutto:-)
Ti ringrazio per il sostegno e buon lavoro per la trasmissione:-)
un abbraccio

Anna ha detto...

Grazie Terry per il bel lavoro che stai facendo!

Un abbraccio

terry ha detto...

Graie anna,
mi fa piacere che tu lo condivida.
un abbraccio

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