Viaggio nel labirinto della Svizzera smarrita tra pietà e persuasione di morte


Durante l'iniziativa che abbiamo portato avanti nelle settimane scorse, contro la Clinica svizzera del suicidio assistito, mandammo una lettera a il.Foglio non solo per informarlo della nostra iniziativa ma anche per chiedergli di sostenerci nel modo che loro ritenevano più opportuno.

Il Foglio ci ha ascoltato e nel giro di pochi giorni, è uscito sabato con il secondo articolo sull'argomento. Ve ne propongo uno stralcio.


Comincia dalla città prediletta da Friedrich Dürrenmatt, il viaggio nella Svizzera che molto ragiona sulle questioni ultime, che discute e legifera (lo ha appena fatto) sui modi di morire e che appare, anche su questo piano, ben decisa a tenersi strette le proprie singolarità. Un paese che tuttavia è sempre più costretto, con i suoi trecento suicidi assistiti l’anno, a valutare le conseguenze di una legislazione penale nella quale, fin dalle origini, si prevede di fatto la non punibilità dell’aiuto al suicidio, se fornito “per motivi onorevoli, segnatamente per pietà”. Un’impostazione ottocentesca, che non poteva fare i conti con l’era dell’offerta organizzata di aiuto al suicidio.

E’ in questo varco che operano associazioni dai nomi che non sfigurerebbero nel “Mondo Nuovo” di Huxley, come Exit o Dignitas. Grandi agenzie di promozione del suicidio su richiesta (anche se soltanto una domanda su tre viene accettata) e che spiegano ai vecchietti negli ospizi come ci si possa liberare, all’occorrenza, di una vita diventata troppo scomoda o gravosa. Agenzie che, oltretutto, attirano dall’estero un turismo suicidario (cinquanta casi su trecento riguardano stranieri) di cui perfino l’imperturbabile Confederazione elvetica non può essere contenta. Ma, accanto a questa Svizzera, c’è anche quella delle associazioni protestanti e cattoliche che lavorano per promuovere le cure palliative, o le organizzazioni per la tutela dei disabili, come la grande Pro Infirmis, che riesce a ottenere norme pionieristiche a tutela dei più deboli.

A tenere insieme tutto, c’è la capacità di un popolo, né veramente nordico né mediterraneo, che ha saputo trasformare in istinto naturale la storica e culturale necessità di mediare, discutere, armonizzare, contemperare, salvando allo stesso tempo una certa idea di libertà e di autodeterminazione. Ci sono ventisei cantoni di cui tener conto, e diverse chiese – la cattolica e le chiese protestanti – a loro volta dotate di autonomia cantonale. E’ proprio l’idea di autodeterminazione a dominare su tutto e a tenere insieme tutto, come se l’incubo del “Minotauro” di Dürrenmatt, la prigionia impotente in un labirinto che non si è scelto e da cui non si riesce a evadere, fosse l’incarnazione di un’angoscia nazionale da tenere continuamente a bada.

Esprime anche la sua contrarietà all’invadenza delle organizzazioni che fanno marketing del suicidio, “ma si sta pensando a una legge che consenta una sorveglianza minima su alcune di queste organizzazioni, in particolare Dignitas”. Guillod spiega anche che “nessuno, nelle strutture pubbliche, ha l’obbligo di rispondere alle richieste di suicidio assistito, che invece sono possibili a opera di personale esterno”, perché la mano che cura non può essere la stessa che offre il bicchiere con il mortale pentobarbital. Ma “ci sono municipalità, come Zurigo, che vietano comunque l’attuazione del suicidio assistito negli ospizi comunali”. La volontà di morire non è, in teoria e soltanto in teoria, sufficiente per ottenere un suicidio assistito: “Andrebbero sempre aggiunti motivi di ordine clinico, come una malattia terminale, e si dice anche che la volontà di morire non dovrebbe essere espressione della malattia psichica di cui si soffre, come la depressione. Ma come è possibile stabilire se voglio morire perché sono depresso o se voglio morire al di là del fatto che sono depresso? Io stesso non saprei quali criteri usare. Il risultato è che Exit procede a pratiche di suicidio assistito in caso di malattia soltanto psichica nella parte tedesca del paese, mentre non lo fa nella Svizzera romanda”.

La mostra sulle cure palliative, ospitata nelle cantine del Palais di Neuchâtel, si intitola “Si un jour je meurs…”. La organizza la fondazione “La Chrysalide”, collegata all’ospedale cittadino, perché “è più facile capire il concetto di eutanasia e di suicidio, piuttosto che quello di cure palliative – dice il presidente della fondazione, Michel von Wyss – e allora noi lavoriamo per spiegare che il dolore si può alleviare, che si può seguire l’evolvere naturale della malattia, senza accelerare la morte”. L’infermiera Cecilia Bisi aggiunge che “è importante sostenere le famiglie dei malati. In dieci anni di attività, tra le persone che abbiamo seguito, soltanto tre hanno chiesto il suicidio assistito e lo hanno ottenuto, fuori dalle nostre strutture”. La terza via tra accanimento e eutanasia viene spiegata con pacatezza, e sempre sottolineando che “si rispetta l’autonomia dei pazienti, e non si condannano scelte diverse. Ma qui non si viene a chiedere il suicidio”.

Più tardi, a Berna, incontriamo il consigliere e delegato di Pro Infirmis, Ruedi Prerost. Un uomo vigoroso che si muove in carrozzella, e che dopo il nostro incontro salirà in macchina e guiderà fino a casa, nel Canton Ticino. Scherza sulla sua “carriera di handicappato”. Sano fino a trent’anni, due anni di immobilità assoluta dopo un’operazione al midollo, quindici anni di stampelle e ora, da quindici anni, su una carrozzella, Prerost dice di sentirsi come “qualcuno che ha una vita faticosa, come un contadino dell’Ottocento, ma non soffro”. Per lui la parola autodeterminazione si declina soprattutto nel senso di affermazione del diritto “alla vita, all’assistenza e all’accesso alla scuola e al lavoro per gli handicappati”. Racconta che anche in Svizzera i margini economici per garantire tutto questo si vanno restringendo, “e allora bisogna essere vigili, perché sappiamo che in ogni liberalizzazione ci può essere un pericolo per il valore della vita dell’handicappato. Come associazione non ci opponiamo alla nuova legge sulle direttive anticipate, ma sappiamo che molto dipenderà dalla sua interpretazione. Tutti gli studi, ma anche la comune esperienza, dimostrano che più un malato ha l’impressione di pesare, più avrà voglia di morire, e viceversa”. A preoccupare Prerost è soprattutto “la tendenza a creare le condizioni per abbreviare la vita di persone che ‘costano’ tanto, come i malati di Alzheimer”.

La chiesa cattolica – spiega infine il sacerdote André-Marie Jerumanis, docente di Teologia a Lugano e rappresentante della Conferenza dei vescovi svizzeri – difende un criterio di dignità umana che può essere accettato anche da chi non ha fede. E’ quello che vorrei dire al vostro presidente della Camera, Gianfranco Fini, quando parla di leggi che non devono essere ispirate dalla religione. Qui non si tratta di principi di fede, ma di una visione dell’uomo che è la stessa di filosofi laici come Hans Jonas. Delle direttive anticipate, sulle quali come Conferenza episcopale svizzera non ci siamo ufficialmente pronunciati, non penso siano da rifiutare a priori, ma non nascondo che rimane critico l’aspetto della vincolatività. Il medico potrà sempre obiettare che la sua scienza e la sua coscienza gli impediscono di adempiere a certe indicazioni, e allora un provvedimento che dovrebbe risolvere certi problemi ne creerà fatalmente altri e provocherà altri conflitti. Lo dice anche la Convenzione di Oviedo: nessuna legge può intervenire su un aspetto che pertiene esclusivamente al medico. Togliergli la libertà di coscienza sarebbe molto grave. A proposito dell’autonomia dell’individuo, dobbiamo ricordarci che si tratta di un concetto che deve tener conto della relazione, non può trasformarsi in autoreferenzialità”.
Nicoletta Tiliacos

8 commenti:

Paolo ha detto...

Uauuu di questo passo anche RAI e Mediaset ti chiameranno. Ciao e buona settimana!

terry ha detto...

Ciao Paolo,
semmai mi autoinvito nella tua trasmissione:-)
Grazie e un abbraccio

Anonimo ha detto...

Ciao terry è sempre importante sensibilizzare
l'opinione pubblica a certe tematiche, soprattutto se c'è da denunciare un maketing della morte.
Federica

terry ha detto...

Chiedo scusa a fiducia34 di ginevra che ha lasciato due commenti veramenti belli e a federica, ma per errore, non so come invece di pubblicarli li ho cancellati. Sono davvero mortificata.
Se ripassate di quì vi prego di riscriverli penso sia importante per chi legge.
Non so neanche se sulla piattaforma di blogger si possono recuperare.
Chiedo ancora scusa

terry ha detto...

Quello di federica è stato pubblicato. Non so cosa sia successo a blogger:-(
Grazie fede,
penso che sia importante dare informazioni corrette.
Come diceva Giovanni Paolo II la verità e la giustizia sono alla base di ogni informazione.
un abbraccio

terry ha detto...

Tra che non sono molto pratica ancora di blogger, tra che andavo di fretta, non mi sono accorta, che i commenti di fiducia erano stati pubblicati negli altri due post precedenti.
Sono un disastro:-(
Chiedo scusa per la confusione:-p

Fiducia34 ha detto...

Ciao cara Terry, non ti preocupare, sono peggio di te !!!Ho già anch'i fatto di danni cancelando. L'importante e scrivere ed esprimere....far sapere!
Avendo vissuto in Svizzera, anni fa', so nel mio piccolo e ricordo il padre, medico, anni fa' di un amico, che mi parlò di apartenere, via una tessera ad una associazione che "ucidono" col consen del malato terminale. A l'epoca, era la prima volta che sentivo parlare di una tessera he porti con te o firmi, in caso di grave pathologia o altro, dove tu decidi di non essere mantenuto in vita quando ritenuto da te (malato).
Sinceramente è un argomento delicato, dove io personalmente, otto per la vita e trovare la guarigione al mio male; ho diffiocltà a emmettere un giudizzio
per certi casi estremi; mai mi sono trovata a confrontarmi con questo.
Come comunque diffido di molte proposte, vedrei dietro questo, un affare per i organi,il trapianto di organi (?) che ci sarebbe molto da racontare, secondo me e di cose incredibili.
Ciao.
Fabia

terry ha detto...

Ciao fabia,
sì ho fatto un pò di confusione:-)
Hai ragione sono argomenti delicati
che vanno affrontati con rispetto, ma anche con chiarezza dove è possibile.
In questo senso cerco di dare il mio umile contributo.:-)
un abbraccio

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