STAMINALI, IN BASILICATA 500 MAMME IN ATTESA DI VERITA’

10, Dicembre 2008
A partire dal 1993, in Basilicata, cinquecento donne hanno compiuto un gesto di altruismo che qualcuno ha poi vanificato. Cinquecento unità di sangue placentare (materiale estratto dal cordone ombelicale delle donatrici al momento del parto) sarebbero scomparse dall’ospedale “Madonna delle Grazie” di Matera. “Si è provveduto alla loro dismissione” ha dichiarato l’ospedale ma dell’effettiva distruzione delle sacche, non esiste alcun certificato. Che fine hanno fatto quelle sacche ed i quattro contenitori in cui erano conservate? Per ora non è dato sapere ma sulla vicenda indaga la procura della Repubblica di Catanzaro.

Il caso scoppia nel 2006 quando una delle donatrici che poi farà della ricerca e della donazione la sua missione, scopre in maniera del tutto casuale che quelle cellule, in ospedale, non ci sono più. Rosa Viola, napoletana di origini e insegnante di professione, vive a Picerno (PZ) dal 1984 dove, insieme al marito Antonio, ha costruito la sua vita. Appena giunta in Basilicata nasce il primo figlio, due anni più tardi Rosa dà alla luce il suo secondogenito e nel 1990 arriva la notizia di una terza, inaspettata gravidanza. Una femminuccia.

“Francesca portò nuova gioia nella nostra casa - ricorda dolcemente la signora Viola - i figli sono un dono di Dio ma lei, tra tutti, è stato il dono più grande”. Le giornate, i mesi e gli anni, trascorrono tranquilli in quel paesino di cinque mila anime, dove l’aria è pulita e la carne si compra dal macellaio di fiducia. Ma un pomeriggio di luglio del 1996 cambia per sempre le sorti di quella famiglia. “Francesca era seduta in soggiorno a guardare i cartoni animati, poi venne in cucina camminando carponi. Disse che le faceva male una gamba. Cominciò la nostra odissea”.

Alla piccola di casa, venne subito inferta un’atroce condanna: leucemia cronica. L’unico rimedio è il trapianto di midollo osseo. Subito gli esami di compatibilità con i genitori e i fratellini ma, purtroppo, nessuno di loro potrà aiutare la piccola Francesca. Vana sembrava la ricerca di un donatore extrafamiliare compatibile, nelle banche dati di tutta Europa. Poi un ultimo tentativo: mettere al mondo un altro figlio, nella speranza che potesse salvare la vita della sorella. “Non sarei mai riuscita a perdonarmi di non aver tentato tutto ciò che potevo” è la spiegazione di mamma Rosa, ma come lei stessa ricorda “Chiara non è nata per aiutare Francesca, ma per aiutare ciascuno di noi a vivere senza Francesca”.

Anche l’ultimogenita, infatti, non sarà compatibile con la sorellina. Seguono mesi di angoscia. Poi, quando ormai le speranze si stavano affievolendo, arriva la tanto attesa telefonata: è stato trovato un donatore volontario veronese, perfettamente compatibile con Francesca. “Sono profondamente riconoscente a questa persona - rivela mamma Rosa - che con il suo grande gesto d’amore, ha aperto il nostro cuore a quella speranza che ci ha permesso di regalare a Francesca giorni sereni prima della morte”.

Nonostante il trapianto perfettamente riuscito, infatti, la piccola non sopravviverà che pochi mesi. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, la donna comincia la sua battaglia a favore della donazione, rendendosi promotrice di varie campagne di sensibilizzazione e fondando la Domos Basilicata (Associazione donatori di midollo osseo e di cellule staminali emopoietiche).

In circa sette anni, in tutta le regione, sono stati raccolti cinquecento cordoni ombelicali che ora sembrano spariti nel nulla. E con loro, la speranza di vita di tanti ammalati. “Non voglio fare supposizioni - precisa la signora Viola - ma ho appreso che quel materiale, se immesso sul mercato, avrebbe un valore di circa 1 milione e 200 mila euro”. E continua: “Fino a quando la responsabilità della banca dati era affidata al Centro di Microcitemia, sotto la direzione del dottor Carlo Gaudiano - precisa la signora Rosa - le cellule sono state perfettamente conservate e sono stati effettuati con successo anche due trapianti, uno a Pavia e l’altro a Pescara.” Ma nel 2004 le sacche vengono trasferite nel Centro Trasfusionale dello stesso ospedale, diretto da un altro dottor Gaudiano, che di nome fa Vito.

Questo Gaudiano è uno dei quattro sanitari che hanno firmato l’unico documento sulla questione, diramato dall’Asl dove si legge, dopo alcune premesse: “Considerato che non sussistono le condizioni di qualità e sicurezza necessarie per l’utilizzo clinico, si procede alla distruzione del materiale biologico conservato in azoto liquido nei contenitori numerati da 1 a 4 “. Dopo questa dichiarazione, non se n’è saputo più niente.

La signora, che con i soldi raccolti al funerale della figlia aveva acquistato uno dei quattro contenitori “spariti”, si sente autorizzata a capirci di più. Inizia una serie di interrogazioni e di lettere indirizzate al responsabile del centro trasfusionale, al direttore sanitario dell’ospedale di Matera, fino all’assessore regionale alla sanità. Per i primi tempi nessuna risposta. Poi Rosa, sempre più combattiva e indignata, si rivolge alla stampa locale e così ottiene una seppur incompleta risposta: “Il materiale (cioè le 500 unità di sangue cordonale) è stato dismesso a causa di avarie dei contenitori-congelatori”. Eppure di quella “dismissione”, tranne quel verbale dell’ospedale, tra l’altro mai protocollato, non esiste alcun documento.

Ma allora che fine hanno fatto quelle 500 sacche? Se davvero sono state distrutte, da chi? Quando? Dove? In che modo? Senza sottovalutare il fatto che le cellule erano conservate in azoto liquido: un elemento tossico che, se non smaltito con le dovute precauzioni, può essere altamente inquinante. “Si erano rovinate perché conservate male - riflette a voce alta mamma Rosa - ma io mi chiedo com’è stato possibile considerato il fatto che le sacche erano dotate di un’elettrovalvola che riempiva il contenitore di azoto e che, in caso di guasto, scattava un allarme e si poteva procedere col riempimento manuale. E poi mi domando: se il tuo frigorifero si guasta e la roba che hai dentro si rovina, tu butti tutto il frigo o solo i cibi deteriorati?” Dall’ospedale di Matera, infatti, non sono sparite solo le sacche, ma anche dei quattro contenitori sembra non ci sia più traccia.

Chissà se gli interrogativi di Rosa troveranno delle risposte. E intanto lei non si dà per vinta ma continua con costanza il suo impegno nel mondo del volontariato, trovando anche il tempo e la forza di scrivere un libro. S’intitola “A piedi nudi” e racconta la sua toccante storia ma anche uno straordinario rapporto madre-figlia. Con il ricavato della vendita del libro, è stato acquistato un microscopio da ricerca donato all’ospedale potentino. Tutto questo per non rimanere ferma nell’attesa, sua e di altre mamme altruiste come lei, che si faccia chiarezza sulla vicenda. Perché, come si legge nel suo libro: “Nel dolore si riesce a fare a meno di tutto, tranne che della verità”.

MARIA GRAZIA ZACCAGNINO su http://www.lucanianews24.it/

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