RIFLESSIONE SULLA SOFFERENZA

Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”. (Rm 8,22)

Al dolore nessuno sfugge: l’uomo di oggi, l’uomo di sempre è avvolto dalla sofferenza. La croce è una realtà che accompagna l’uomo passo passo, dalla culla alla tomba, è come l’ombra che lo segue, lungo il cammino. Il mondo in cui è immerso è un mondo in cui la gioia è compagna del dolore, dove convivono ricchezze e povertà, dove la violenza, l’egoismo alzano la voce, molti popoli vivono il peso della miseria e alcuni valori come la solidarietà, la comunione sono compromessi.

Il diritto al benessere per tutti gli uomini tanto decantato, è praticamente calpestato poiché la ricchezza è distribuita in modo ingiusto e il benessere di alcuni non porta al benessere di tutti. Anche il progresso della medicina, che ha permesso di alleviare la sofferenza e allungare il tempo della vita, può esercitare un potere negativo quando, con il pretesto di difendere il diritto alla libertà, rende l’uomo padrone assoluto della sua vita, pensiamo per esempio all’accanimento terapeutico, all’eutanasia, all’aborto.

L’uomo di oggi è portato sempre più a ricercare l’accontentamento del proprio io , che lo spinge verso la scalata al successo e a vivere con una mentalità sempre più edonistica ed egocentrica. Non si tratta più di dover scegliere tra il bene e il male, perché tutto è “bene”, ma si tratta di valutare esclusivamente secondo il proprio punto di vista, da questo scaturisce la perdita del senso del peccato:”tutto posso, tutto voglio”.

L’uomo vive sempre più per se stesso, e diventa egli stesso norma del proprio agire, proiettato verso tutto ciò che può procurargli piacere e rendere “indolore” la sua esistenza.

Alla luce di questa riflessione, parlare di croce, cioè di sofferenza in questa società vuol dire parlare di qualcosa che ripugna, che opprime, che schiaccia, uno scandalo per molti che si dicono cristiani e per quanti si vantano della propria intelligenza. Ieri come oggi la croce è rimasta pietra d’inciampo, qualcosa di illogico e di incomprensibile. L’uomo di oggi solo ed individualista, sicuro di sé, davanti alla croce perde la propria bussola; egli si trova nella confusione più totale, senza più punti di riferimento
.
C’é una frase del Vangelo di Giovanni (12,24) che illumina il mistero della sofferenza: “Se il chicco di grano non cade nella terra e non muore, rimane solo; se muore, porta molto frutto”, ma come spiegarla a chi vive prigioniero del dolore, a chi vive delle sofferenze insopportabili, ingiuste, delle sofferenze che lo schiacciano; come spiegarla a chi vive l’assuefazione ad una malattia che lo condanna, a chi, e sono davvero tanti, non ha più la forza di reagire? Potrebbero sembrare delle semplici parole, insignificanti, superficiali, oppure inopportune o addirittura insultanti.

I sentimenti dell’uomo davanti alla propria croce o a quella di un altro sono tanti e diversi, vanno dalla ribellione alla paura, dall’indifferenza alla fragilità, dalla rassegnazione alla maledizione, dalla chiusura alla disperazione, dallo scetticismo all’incontro con Dio, sì, tante volte è proprio il dolore ad aprire le porte che conducono a Dio. Quando l’uomo sperimenta la propria fragilità, la propria debolezza, sente il bisogno di essere sostenuto, di essere compreso, ed è in questo momento che per lui si aprono orizzonti nuovi, e incomincia a chiedersi perché vive, perché soffre, chi è realmente, da dove viene o dove va.

La diversità delle sofferenze dell’uomo confluiscono in due domande “Perché soffro?”, “Perché il male?”, domande alla quale è difficile trovare risposte convincenti, domande che portano ad uscire da se stessi e a cercare altrove le risposte: nella filosofia, nelle ideologie e in Dio. Dio diventa l’interlocutore privilegiato del grido dell’uomo. Perché Dio permette la sofferenza? Perché Egli che è infinitamente buono e tutto può, permette certe atrocità? Qual é il senso di tutto ciò?

La sofferenza rimane un mistero difficile da sondare, a cui forse bisognerebbe dare senso, più che sperare di trovarlo. Le ideologie non riescono a spegnere le grandi domande che tormentano l’animo umano, l’intelligenza e la ragione da sole non bastano, esse sono solo delle piccole luci in confronto al grande sole che è Dio: l’uomo ha bisogno di uno sguardo di fede, perché solo la fede può dare senso alla croce, solo essa aiuta l’uomo a credere che se Dio permette alcune realtà è sempre e solo per un bene più grande.

La fede ci aiuta ad andare oltre, a dare al dolore una connotazione nuova, fa guardare al dolore non più come a qualcosa di impersonale, ma fa scoprire in esso la presenza di Dio, la presenza del Risorto.
L’uomo contemporaneo rifiuta la croce perché non riesce a guardarla e a considerarla sotto la sua vera luce soprannaturale: partecipazione al dramma del mondo.

E’ chiaro che non è facile, con le categorie mentali che l’uomo possiede, entrare in questa logica, vedere l’amore di Dio nella malattia, nei fallimenti, negli insuccessi nella disperazione, ma Dio è proprio Colui che si fa prossimo alla sofferenza dell’uomo, che la prende su di sé portandola sulle proprie spalle.

La missione di Cristo non era togliere il dolore dal mondo, ma prenderlo su di sé, “si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4). Si è lasciato trafiggere dai nostri delitti e ha trasformato tutto in strumento di salvezza, dunque di beatitudine eterna, lì nel nuovo Regno dove “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate.” (Ap 21,4)

L’uomo dovrebbe vedere nella croce, nella sofferenza, non un semplice incidente di percorso, qualcosa da evitare a tutti i costi o da rifiutare, né qualcosa a cui ribellarsi o sottomettersi perché vista come castigo per un peccato, ma semplicemente come strumento, che se accolto, lo porta a vivere una più profonda comunione con Dio.

L’amore è la sorgente più piena della risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza. Questa risposta è stata data da Dio all’uomo nella croce di Cristo.

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