Oggi si parla molto, a proposito e a sproposito, del valore della vita: dai giornalisti ai presentatori televisivi, dai politici agli opinionisti tutti hanno qualcosa da dire sulla vita e amano presentarsi come sostenitori e difensori della stessa: la si usa come un simbolo, la si sventola come una bandiera, ma ci si preoccupa poco di rendere sostanziosi e indiscutibili i contenuti a cui si allude, ciascuno li intenda pure come vuole - "basta la parola!".
Invece l’impressione che ho è che siamo inseriti in una “cultura di morte” diffusa dai media, finanziata dai potenti, recepita dalle masse, tradotta poi in atteggiamenti concreti da quanti si lasciano suggestionare dalla sedicente cultura “della qualità della vita”.
E tutto si gioca sull'emozione..emozione del caso limite. Potrebbe essere superfluo ma ci tengo a sottolineare che è la ragione che è deputata a determinare quali atti sono leciti o illeciti sotto il profilo morale. Non il sentimento. Far leva sulle emozioni è invece una strategia furba e disonesta. Argomentare che l'aborto volontario è sempre iniquo comporta passaggi logici complessi e spesso lunghi. Raccontare invece la storia di una donna violentata che ha scelto di abortire porta molti più consensi e più velocemente. Che poi l’interruzione di gravidanza una volta ammessa, è diventata una pratica consueta, un'abitudine, il surrogato del preservativo..che importanza ha no?!
Spiegare le differenze tra atti eutanasici e accanimento terapeutico è laborioso, sbattere in prima pagina il viso gonfio e privo di espressione di Welby invece cattura più facilmente l'attenzione del telespettatore e lo recluta all'istante tra le file dei filo-eutanasici. E così anche il caso Englaro, senza nulla togliere al dolore della famiglia e al rispetto che ne consegue.
Come faccio a non domandarmi perché solo alcuni casi pietosi hanno i meriti sufficienti per avere gli onori della ribalta. Che dire infatti di quel gruppetto di pazienti affetti dalla stessa malattia di Welby che nel settembre del 2006, mentre quest'ultimo scriveva a Napolitano, furono portati in barella davanti alla sede del Ministero della Sanità chiedendo non di morire ma più soldi per la ricerca?
Che dire del professor Melazzini, primario oncologo, anch'egli colpito da sclerosi laterale amiotrofica, che muove solo tre dita e vuole continuare a vivere? E ce ne sono migliaia!! E cosa dire dei tanti Hospice o associazioni di volontariato che si prendono cura di queste persone?Perché non se ne parla mai? Forse perché da che mondo e mondo le notizie hanno sempre “due pesi e due misure”?
A parte un po’ di ironia mi spaventa e mi sconcerta questa cultura triste della morte, come se fosse la sola ed unica soluzione. L’eutanasia, l’aborto, a volte vengono camuffati quali risorse di umanità ed invece rappresentano solo delle sconfitte.
Non ce ne rendiamo conto o forse non importa a chi la pensa diversamente da me, non lo so, ma questo sostanziale disconoscimento del valore della vita, porta la società ad un individualismo perverso. Tutto diventa un diritto, che deve essere riconosciuto ad ogni costo dalle istituzioni.
A tal proposito vi invito a leggere qui di seguito uno stralcio dell’intervista a Elisabetta Pittino, Responsabile Giovani Movimento per la Vita Lombardia.
“Qualche anno fa mi turbò un paragone inquietante: come gli stermini sono avvenuti nel rispetto della legge vigente, così l’aborto, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni, l’infanticidio avvengono in un’ apparente legalità. Evoluzione o violazione dei diritti umani?
Furono dei parlamenti, dei governi, delle dittature ad affermare in testi di legge che alcuni esseri umani erano “non uomini”. Ad essi sono state negate le libertà fondamentali, i diritti civili e politici, sono stati imposti obblighi e vi sono state le deportazioni, le violenze, le esecuzioni.
Come mai il diritto, nato per difendere il debole e per sostituirsi alla barbara legge del più forte, ha potuto macchiarsi di tali delitti? Il diritto è morto in quei giorni oscuri. E’ rinato con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e con le Dichiarazioni successive, che hanno sancito l’uguaglianza di ogni essere umano, all’indomani degli orrori nazisti, proprio per evitare che potesse succedere di nuovo.
Non ci può essere un diritto della cultura della vita e un diritto della cultura della morte. Esiste solo un diritto che è per l’uomo, che è per la vita, che rispetta la dignità umana. Tutto ciò che non rispetta la dignità dell’uomo nel suo complesso non è diritto, è negazione del diritto.
Se uno stato permette che si faccia una distinzione tra persone sulla base della razza, della religione, dell’età (aborto), dello stato di salute (eutanasia, selezione embrionale) e ne permette l’uccisione, siamo ritornati alla barbarie.( Elisabetta Pittino, Responsabile Giovani Movimento per la Vita Lombardia.
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